Venerdì 30 novembre alle 18.00 presso i locali della Villa Ragno di Santa Teresa di Riva avrà luogo la conferenza stampa con la presentazione Progetto di Valorizzazione della Maschera Carnevalesca Tradizionale Antillese in seno alla IV Sagra del Maiale e del Cinghiale in programma sabato 1 e domenica 2 dicembre.
Ad Antillo, sul versante meridionale dei Peloritani, u jornu i Carnaluvari, il martedì Grasso, i pastori si vistianu i Pícurari (Animali e Uomini Selvatici), si mascheravano da pecorai. Oltre a portare il copricapo tradizionale, a meusa, i Pícurari indossavano su una camicia bianca, a cammicia i tila iànca, il giubbotto di orbace, u rrubbuni i trappu, e sopra i calzoni si mintiànu i causeddi i peddi, mettevano le brache di pelle caprina non tosata, ai piedi calzavano i scarpi i pilu, ciocie di cuoio grezzo, tenute ferme da stradderi, fettuccie di cuoio incrociate lungo la gamba.
Dalla cintura rinforzata pendevano tutt’intorno i campani, i campanacci, una dozzina, di varia grandezza. Accessori erano u facciali, la maschera di tela bianca con due buchi per gli occhi, e ‘na tuvàgghia i facci rracamata e ‘ntrizzata, un asciugamano ricamato con le frange annodate.
I Picurari portavano poi una bisaccia, a bbertula, con dentro un pezzo di formaggio vecchio, da una parte, e ‘na petra fucala, una pietra focaia, dall’altra.
I Picurari, per la mascherata carnevalesca, che aveva luogo per le strade di Antillo, si riunivano a gruppi di otto-dieci elementi, destando con le loro divertenti e imprevedibili scorribande gestuali, verbali e sonore, ilarità e esplosioni di risate liberatorie. Ad ogni movimento del mascherato, i campanacci facevano un rumore assordante, incutendo fra la gente paura e sorpresa. La presenza dei Picurari era inquietante, perché rappresentava un’identità “altra”, sconosciuta, perciò temibile.
Di tanto in tanto i Picurari stabilivano un contatto verbale con la gente, con la replica rituale di uno scambio di battute obbligate: “picuraru, m’u duni un mmostru i frummàggiu?” (pecoraio me lo dai un pezzo di formaggio?)… “Dammi u cutedddu chi tt’u tàgghiu” (dammi un coltello che te lo taglio), rispondeva con voce falsata. Se l’interlocutore gli dava il coltello, u Pícuraru faceva finta di volerlo affilare sulla pietra mola, ma in realtà u sgangava, cioè gli rovinava il taglio. Lo scherzo, non innocuo certamente, veniva tuttavia ricompensato con un pezzo di formaggio offerto in dono al malcapitato.
L’allegra sarabanda dei Picurari, che invadevano con la loro presenza inquietante e assordante il paese, si chiudeva in piazza con un ballo finale di riconciliazione, che intrecciavano gioiosamente con maschere femminili, dami, agghindate a festa, eloquente espressione del Bene da rifondare nella comunità. I temi di contradanza, eseguiti da un suonatore di ciaramedda, venivano sovrastati dal frastuono dei campanacci, continuamente mossi dai passi di danza dei Picurari, e dalle grida di festa della piccola folla che faceva corona ai danzatori.
Tratto da http://www.solnet.it/carnevaledisaponara/antillo.htm